L’industria degli studentati

In Europa le case per fuori sede sono sempre più care. Tanto da mettere a repentaglio il diritto allo studio. A dettare legge sono gli investitori privati, con il pubblico che fatica a contenere i rincari

Jan 12, 2023 IrpiMedia

Bologna, dove nel 1088 è stata fondata la più antica università europea, gli studenti si sono trovati a dormire qualche notte in stazione perché non riescono a trovare una stanza. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ha stanziato in tutta Italia quasi un miliardi di euro per colmare la cronica domanda di case per studenti, ma finora chi ha investito a fissato prezzi d’affitto altissimi. A Dublino le matricole hanno piantato le loro tende nel campus all’inizio del semestre, per dare un segnale sull’allarmante mancanza di alloggi. A Berlino, il microliving sta trasformando gli studentati in una nuova forma di hotel. In Spagna, oggi solo il 6% degli studenti vive in alloggi per studenti: lo stato non ha mai costruito strutture su larga scala, come invece hanno fatto altri Paesi come la Finlandia.

L’Unione europea non dispone di alloggi a prezzi accessibili per i suoi 18 milioni di studenti, mentre i dati mostrano che il numero di universitari è in continuo aumento: dal 2013 al 2020 sono cresciuti dell’8,8%. Per frequentare l’università, i giovani si spostano sempre di più, lasciando la casa della famiglia d’origine. L’afflusso di nuovi studenti universitari e la cronica mancanza di case crea un circolo vizioso che contribuisce ulteriormente all’aumento dei prezzi. Trovare una stanza così diventa sempre più difficile.

Il risultato di queste condizioni è che la casa sta diventando un ostacolo allo stesso diritto allo studio. E che per ottenere una laurea bisogna sempre più avere una certa disponibilità economica. Costruire nuovi alloggi pubblici potrebbe essere una soluzione, eppure nella maggior parte delle città questo non è stato fatto. Le residenze per studenti stanno diventando tra gli investimenti immobiliari più desiderati dagli investitori privati.

Il miraggio di un’abitazione

In Danimarca, Finlandia, Norvegia e Spagna, chi vive lontano dalla propria famiglia spende per la casa anche più del 40% del totale delle sue uscite, e in Francia la percentuale addirittura supera il 50%. In media circa un terzo delle risorse degli studenti se ne va per l’alloggio. «Le spese dell’affitto possono comportare un rischio di cadere sotto la soglia di povertà, soprattutto nelle grandi città, dove i canoni sono particolarmente alti», si legge nel report How the cost of accommodation (over?)burdens students in Europe di Eurostudent, progetto che raccoglie, analizza e compara dati sulle condizioni di vita degli universitari. In decine di città in tutta Europa, questo può portare anche a finire in strada. Le spese sono anche correlate all’età: in quasi tutti i Paesi, gli studenti che hanno meno di 24 anni spendono di più per la casa. Le uniche eccezioni sono i Paesi Bassi, la Svizzera e il Portogallo, dove è la fascia degli over 30 a dover affrontare i costi maggiori.

«Gli studenti sperimentano un continuo aumento dei prezzi degli affitti, specialmente nelle grandi città europee dove si trovano la maggior parte delle università. L’offerta insufficiente di residenze studentesche e la mancanza di posti liberi sul mercato immobiliare aggravano il problema, e la situazione è particolarmente difficile per gli studenti internazionali». È la denuncia della European Students’ Union (ESU), rete che mette insieme 45 sindacati studenteschi di 40 Paesi europei. «Gli studenti stranieri, in particolare, subiscono discriminazioni da parte sia dei proprietari sia dei compagni, che preferiscono condividere la stanza con persone che parlano la loro stessa lingua».

In questo momento ci sono migliaia di studenti che non hanno una casa. Quello degli universitari senza dimora è un fenomeno che si è presentato per la prima volta negli Stati Uniti, dove già nel 2018 si contavano più di 32 mila studenti senzatetto. In Europa la dimensione del problema è più ridotta, anche se un report di Hepi, think tank britannico specializzato sul tema dell’educazione superiore, denuncia che nel Regno Unito ci si attende che il numero di universitari senza casa cresca, a causa dell’aumento del costo della vita e di una sempre più ampia partecipazione all’istruzione superiore, anche da parte delle fasce meno abbienti della popolazione. Molti, non avendo la possibilità di pagare un affitto, finiscono per dormire in macchina oppure sul divano di amici e conoscenti, pur di riuscire a terminare gli studi. Il problema è la mancanza di dati necessari per valutare la dimensione del fenomeno: rispetto agli studenti si parla quindi di hidden homelessness, «senzatetto nascosti».

«Le università dovrebbero fare un’indagine non solo tra gli iscritti, ma anche tra i laureati e tra chi ha abbandonato gli studi», scrive Greg Hurst, responsabile comunicazione e affari pubblici del Centre for Homelessness Impact, organizzazione che si batte per la difesa del diritto alla casa. «Ampliare l’accesso all’istruzione superiore significa anche allargare la composizione del corpo studentesco, supportando i giovani più a rischio di rimanere senza casa. Con l’aumento del costo della vita, un numero maggiore di studenti fatica ad arrivare a fine mese: le università potrebbero, e dovrebbero, chiedersi se stanno facendo abbastanza per aiutarli».

Un problema simile si sta verificando anche nei Paesi Bassi, a Groningen, dove questo settembre più di 600 studenti internazionali hanno iniziato il loro percorso accademico senza avere una casa dove stare. In Italia, il fenomeno degli universitari senza dimora non è strutturale, ma si sono verificati i primi casi. «A Bologna ci sono stati episodi di studenti che hanno dormito in stazione per qualche notte», spiega don Matteo Prosperini, direttore di Caritas Bologna. «Non è una condizione permanente, certo, però è emblematica di un problema che non possiamo ignorare».

Soluzioni abitative poco soddisfacenti

A vivere nelle residenze per studenti, che in inglese si definiscono student housing, è il 18% degli studenti europei. La percentuale tocca il 32% se si prende in considerazione l’insieme di chi studia fuori dal proprio Paese d’origine, raggiunge il 27% se si prende in considerazione chi ha una borsa di studio e il 24% se si considerano i minori di 22 anni. Sono alcuni dei dati contenuti nel report Social and Economic Conditions of Student Life in Europe di Eurostudent, progetto che raccoglie dati sulla dimensione sociale dell’istruzione superiore europea, riferiti al triennio 2018-2021. La maggior parte degli studenti europei è fuori sede, mentre circa un terzo vive con la famiglia d’origine: in Europa meridionale questa quota è più alta, mentre il numero si abbassa nei Paesi del nord.

La ricerca indaga anche il livello di soddisfazione dei giovani rispetto alla propria condizione abitativa. Il dato più eclatante è che il 28% degli studenti che condividono la casa con altre persone dichiara di non essere «per niente soddisfatto» dei costi del proprio alloggio. La percentuale diminuisce per chi vive da solo (25%), per chi abita in una residenza studentesca (24%) e per chi convive con il partner o i figli (21%).

La soddisfazione degli studenti è influenzata da diverse variabili, in primis la posizione della casa: tra gli elementi che influenzano la valutazione c’è la vicinanza all’università, agli amici, ai genitori, a un eventuale luogo di lavoro, la possibilità di fare acquisti nelle vicinanze, l’accesso a offerte culturali e i collegamenti con il trasporto pubblico. Poi ci sono le caratteristiche dell’abitazione: dimensioni, condizioni di luce, ristrutturazione. E naturalmente il costo dell’alloggio e la disponibilità di certi servizi, come la velocità di internet o la presenza di spazi per fare sport. «Ci sono prove empiriche che il tipo di alloggio abbia un’influenza sulla permanenza degli studenti nell’università e sul conseguimento finale della laurea», conclude il report di Eurostudent.

Città dove ci sono e ci saranno il maggior numero di letti per studenti

Il grafico mostra il numero di posti letto in studentati privati già esistenti in città europee. A questo si aggiungono i nuovi letti, sia già in fase di costruzione, sia ancora solo programmati.

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Investimenti a livelli pre-pandemia

I dati di Research.com, portale specializzato su temi legati a università e ricerca, mostrano che nel mondo il principale mercato delle residenze per studenti per volume di investimenti è di gran lunga quello degli Stati Uniti, che rappresenta il 57% del totale, seguito al secondo posto dal Regno Unito (27%). Vengono poi Germania (4%), Paesi Bassi (3%) e Francia (2%). In Europa, si calcola una media di sette studenti per posto letto, con ampie differenze da Paese a Paese: si passa da 4,2 nel Regno Unito a 6,2 nei Paesi Bassi, 6,5 in Francia, 9,3 in Germania e 17,3 in Spagna.

Lo Student Housing Annual Report 2021 di Bonard, agenzia che si occupa di studi di settore, prende in considerazione 32 Paesi del mondo, per un totale di 270 città e due milioni di posti letto, distribuiti in 12.748 residenze per studenti. Dall’indagine risulta che in Europa il mercato dello student housing ha superato gli 8,8 miliardi di euro, tra movimenti di capitale e investimenti, di cui 3,7 miliardi sono concentrati nel Regno Unito. È proprio quest’ultimo ad avere la maggiore disponibilità di posti letto (517 mila), seguito dalla Germania (204 mila) e dalla Francia (189 mila). Scorrendo la classifica, troviamo poi l’Olanda (112 mila), la Polonia (84 mila), la Spagna (63 mila), la Svezia (47 mila), l’Austria (40 mila) e l’Italia (39 mila). Tra gli operatori privati che operano nel settore, i principali hanno tutti sede in Gran Bretagna: il maggiore è Unite Students di Bristol, che gestisce quasi 75 mila posti letto, seguito dalle società londinesi University Partnership Programme (42 mila posti letto) e iQ Student Accommodation (32 mila).

Il mercato delle residenze universitarie in Europa

snimecekNonostante la crisi pandemica, lo student housing ha dimostrato una buona tenuta: nel 2020 si è registrato un lieve calo delle prenotazioni, intorno al 5-10%, ma già nel 2021 si è tornati ai livelli pre-pandemia. «Nel complesso, la domanda degli studenti non è diminuita in modo significativo», spiega Julia Momotiuk, responsabile del settore alloggi in affitto di Bonard. «Gli universitari hanno continuato a spostarsi e hanno preferito studiare in loco piuttosto che attraverso la didattica a distanza. Così, l’interesse degli investitori è rimasto intatto, o addirittura è cresciuto». Questo spiega anche l’aumento delle strutture in costruzione o in fase di progettazione: a settembre 2021 c’erano circa 230 mila posti letto in cantiere in tutta Europa, soprattutto nelle città di Dublino, Parigi, Nottingham, Coventry e Londra.

Contratti brevi, rendimenti alti: dallo studentato all’hotel per soggiorni lunghi

L’ultima tendenza del mercato è quella di costruire non normali appartamenti, ma soluzioni di microliving: piccole abitazioni con una superficie ridotta, in buona posizione, già arredate e all’interno delle quali si trova tutto ciò che serve per vivere autonomamente (una cucina, un bagno, un letto). Affittando questi alloggi per brevi periodi, è possibile ottenere prezzi al metro quadrato più elevati, e aumentarli senza complicazioni. La clientela è solvibile, e per molti studenti – soprattutto internazionali – si tratta di una soluzione più comoda che cercare un appartamento intero e acquistare mobili propri. Tra il 2013 e il 2018, il numero di studenti internazionali in Europa è aumentato del 24%, ha calcolato l’Unesco.

Studentati: investimenti immobiliari in crescita in Europa

Il grafico mostra il volume totale degli investimenti per studentati nei Paese dell'Unione Europea, divisi per anno.

graffIl risultato è che questi maxistudentati somigliano sempre più a hotel che a edifici residenziali. E gli studenti hanno smesso di essere gli unici a vivere in queste strutture. «In tutta Europa, dal 20 al 25% di coloro che vivono nelle residenze sono giovani professionisti: la tipica clientela con valigie trolley che fa il pendolare tra Monaco e Londra», afferma il professor Thomas Beyerle, responsabile del settore ricerca per lo sviluppatore Catella. Gli investitori sono stati «veloci nel riconoscere questo target aggiuntivo».

Non solo universitari, quindi, ma anche viaggiatori, turisti, nomadi digitali, giovani professionisti ed espatriati. Persone che hanno bisogno di soggiornare in una città per poche settimane o per qualche mese, e che preferiscono affittare una stanza dotata di tutti i comfort invece che stare in un hotel o cercare un appartamento sul libero mercato. Soprattutto in estate, quando all’università le lezioni e gli esami sono finiti, gli studentati privati si svuotano e le stanze vengono messe a disposizione di un altro tipo di pubblico. Per questo, in Italia, molte residenze per studenti private hanno una destinazione d’uso ricettiva e non abitativa, il che implica maggiori oneri d’imposta, ma garantisce anche una maggiore flessibilità rispetto all’utenza e alle modalità di soggiorno.

Secondo Stefan Breit, coautore dello studio Microliving. L’abitare urbano nel XXI secolo, «il microliving risponde perfettamente all’esigenza fondamentale che un’abitazione deve soddisfare: un rifugio sicuro», spiega in un’intervista per l’immobiliare Alfred Müller. «La nostra società, che attribuisce un ruolo sempre più importante all’individuo, condiziona il modo in cui sono costruite le nostre case. Il numero delle cosiddette famiglie mononucleari è in costante aumento, ma proprio il vivere soli sempre più a lungo e sempre più spesso fa nascere l’esigenza di nuove forme di comunità».

I parametri del microliving sono diversi da Paese a Paese: in Svizzera, con questo termine ci si riferisce ad abitazioni con una superficie di circa 30 metri quadri; in Giappone si ritiene possibile vivere anche in meno di 6 metri quadri, mentre nella East coast degli Stati Uniti rientrano nella definizione di microliving abitazioni con una superficie che arriva fino ai 46 metri quadri.

Gli alloggi per studenti producono ricavi più elevati rispetto ad altri tipi di investimenti immobiliari

Il grafico mostra i rendimenti medi degli alloggi per studenti in ogni città per il terzo trimestre del 2022.

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Lo student housing in Italia: un mercato emergente

In Italia, come in altri Paesi europei, c’è un problema di sottodimensionamento delle residenze pubbliche per studenti. «La maggior parte degli studentati pubblici, soprattutto quelli con alti standard, si trova nel nord Italia, mentre al sud gli universitari soffrono la mancanza di alloggi di qualità», si legge nel report Students’ housing in Europe della European Students’ Union. «La legge consente solo a un numero ridotto di studenti di essere ammessi alle residenze pubbliche e in molte regioni non tutti gli idonei possono usufruire del servizio». I sindacati studenteschi, insieme all’Unione degli universitari (confederazione di associazioni studentesche presenti nei più importanti atenei italiani), hanno più volte denunciato la necessità di aumentare il numero di posti letto di qualità a prezzi equi, in particolare nel meridione. La situazione si sta evolvendo, ma non abbastanza velocemente da rispondere alle necessità impellenti di chi resta senza casa. Studiare all’università sta diventando sempre più costoso, e sta gradualmente diventando un privilegio, invece che un diritto.

Il Rapporto 2021 di AlmaLaurea evidenzia, ad esempio, come in Italia la probabilità di proseguire gli studi dopo le superiori fino a completare l’università dipenda ancora dal contesto socio-culturale di origine. Negli ultimi dieci anni è aumentata la quota di laureati con almeno un genitore laureato: se nel 2010 era il 26,5%, nel 2020 è il 31% (in particolare il 12% ha entrambi i genitori laureati). Si parla anche di «ereditarietà del titolo universitario»: il 20% dei laureati con almeno un genitore laureato sceglie un corso dello stesso gruppo disciplinare. Garantire un percorso educativo di lunga durata per le famiglie più in difficoltà rappresenta un costo sia diretto (il mantenimento negli studi) che indiretto (il mancato accesso in giovane età al mercato del lavoro). Uno studio di Inapp, l’ente pubblico che in Italia si occupa di analisi delle politiche pubbliche, mostra che tra i figli di genitori con una laurea, il 75% ha la probabilità di laurearsi a sua volta. Percentuale che scende al 48% tra chi ha alle spalle una famiglia dove il titolo di studio massimo è il diploma e al 12% se i genitori hanno la licenza media.

Per abbattere queste disuguaglianze nascono gli enti per il diritto allo studio, che dovrebbero garantire la parità di accesso all’università per gli studenti meritevoli e privi di mezzi. Ma esistono ancora criticità strutturali. «Il primo punto critico è l’organizzazione divisa per regione», commenta Alessio Pontillo, presidente di Andisu, l’Associazione nazionale degli organismi per il diritto allo studio, intervenuto il 7 novembre al convegno Il diritto allo studio, presente e futuro. «Ogni territorio ha un suo modello specifico: alcuni enti per i diritti allo studio funzionano meglio, altri peggio. E la velocità con cui vengono aperte nuove residenze non sempre è sufficiente». Negli ultimi dieci anni si è assistito a una semplificazione del panorama degli organismi regionali per il diritto allo studio: nel 2011 erano 41 su tutto il territorio nazionale, arrivati oggi a 30 grazie a una serie di accorpamenti. Attualmente ce n’è uno per regione, fatta eccezione per la Lombardia, il Veneto, l’Abruzzo, la Sardegna e la Sicilia, che ne hanno più di uno.

Gli enti per il diritto allo studio si occupano di erogare le borse per gli studenti meritevoli in stato di necessità economica, oltre che assegnare i posti alloggio, i contributi per il trasporto e altri tipi di sussidi. Negli ultimi dieci anni, il numero di borse di studio erogate nel nostro Paese è praticamente raddoppiato: si è passati da 120.965 borse nell’anno accademico 2011/2012 a 244.230 nel 2020/2021, con un incremento della spesa pubblica da 360 a 713,5 milioni di euro (dati dell’ufficio statistico del ministero Università e Ricerca). Questo soprattutto grazie a un innalzamento delle soglie Isee e Ispe avvenuto nel 2016, che ha portato a un consistente aumento degli idonei sulla popolazione studentesca nel suo insieme.

Anche la capacità di copertura delle borse di studio è cresciuta sensibilmente: nel 2011 le borse coprivano solo il 69,7% degli idonei totali, nel 2020 si arriva al 98,8%. Eppure, sono ancora tremila gli studenti che restano senza contributo pur avendone i requisiti: «Ci sono ancora grandi differenze regionali, con il Molise che non supera l’83% di copertura e la Sicilia che non va oltre il 93%», spiega Claudia Pizzella dell’ufficio statistico del Ministero Università e Ricerca. «La nota dolente comunque resta la residenzialità: negli ultimi dieci anni i posti alloggio in studentato sono aumentati solo del 9,5%, non riuscendo a rispondere alle esigenze degli studenti che hanno bisogno di una casa».

Oggi il numero di universitari che percepisce una borsa di studio rappresenta circa il 14% del totale degli studenti italiani: «Una quota maggiore di un tempo, certo, ma ancora troppo bassa, se si pensa che in Francia la percentuale arriva al 32%», spiega Federica Laudisa dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio di Ires Piemonte. «In Italia, il 58% degli studenti iscritti al primo anno dell’università che avrebbero i requisiti per ricevere la borsa non hanno neanche fatto domanda: questo è dovuto sia a una mancanza di informazioni, sia a una grande frammentazione, che fa sì che ogni ente regionale apra un proprio bando. Anche i criteri di accesso, come la soglia Isee e Ispe, sono diversi a seconda dei territori, e questo crea ulteriore confusione. Finché non riusciremo a considerarci come un unico Paese, il diritto allo studio non sarà mai pienamente garantito».

I finanziamenti del PNRR all’edilizia studentesca favoriscono i privati

Per finanziare nuovi alloggi per studenti, il Pnrr ha stanziato 960 milioni, per portare entro il 2026 il numero posti letto dagli attuali 50 mila a oltre 100 mila su tutto il territorio nazionale. Il primo bando aveva l’obiettivo di finanziare con 300 milioni di euro 7.500 posti letto da realizzare entro dicembre 2022, sfruttando in particolare il patrimonio immobiliare già esistente, prima non utilizzato: la graduatoria finale però vede solo 46 progetti finanziati, per un totale di 4.478 posti e 150 milioni stanziati, la metà delle risorse a disposizione. È stato così emanato un secondo bando, con scadenza al 28 dicembre 2022, per assegnare i rimanenti 150 milioni.

Tra gli enti che si aggiudicano le risorse ci sono, oltre agli organismi per il diritto allo studio e alle università, anche gli attori privati, che comunque dovrebbero destinare «prioritariamente» i posti letto a studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, sulla base delle graduatorie degli enti per il diritto allo studio (secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 68 del 2012). Il testo di legge non cita invece un altro decreto, il numero 937 del 2016, che specifica che almeno il 20% dei posti letto cofinanziati dallo stato devono essere destinati «obbligatoriamente» – e non solo «prioritariamente» – a studenti in stato di necessità.

«Il sistema pubblico è visto come troppo lento e allora per costruire nuovi alloggi si fanno entrare in campo i soggetti privati», spiega Patrizia Mondin, presidente di Er.Go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio dell’Emilia-Romagna, e vicepresidente di Andisu. «Il rischio – prosegue – è che si crei un doppio standard: le residenze pubbliche sono viste come prerogativa dei poveri, a cui si danno alloggi che non hanno alti standard, poi ci sono gli studentati di lusso privati, con tantissimi servizi. Ci auguriamo che, con questi nuovi bandi, si dialoghi e che si lavori insieme, per evitare ghettizzazioni».

Il problema, in ogni caso, resta la mancanza di trasparenza: attualmente non esiste un registro pubblico dei soggetti finanziati, con dati aperti e liberamente consultabili, né un ente regolatore che controlla se i progetti vengano effettivamente realizzati e se venga rispettata la quota di alloggi da riservare a studenti meritevoli in stato di necessità economica. «Il nodo fondamentale è proprio la tariffa», spiega Laudisa. «Che prezzo avranno gli alloggi che stiamo finanziando con risorse pubbliche? Non è stato fissato un tetto massimo, e così sono i privati a fare il prezzo. Il vantaggio finale allora è per gli studenti o per gli investitori? L’obiettivo ultimo di queste risorse, ossia creare posti letto accessibili, non è raggiunto».

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